Sono stati pubblicati i dati ISTAT relativi alla spesa in ricerca e sviluppo delle imprese italiane nel 2020. Dallo studio emerge un trend globale negativo: per le attività di R&S in-house sono stati spesi in Italia 25 miliardi di euro nel 2020, il 4,7% in meno dell’anno precedente. Un trend principalmente alimentato da PMI e università – la cui spesa in R&S è calata rispettivamente del 6,8% e del 2,2% – mentre tiene la spesa nelle istituzioni non profit, in quelle pubbliche nella grande impresa (almeno 250 addetti). In particolare, la grande impresa non solo si conferma il soggetto più importante nelle attività di R&S, ma riesce anche ad aumentare gli investimenti in ricerca (+2,2% rispetto al 2019).
Per il 2021 i dati preliminari indicano un’importante ripresa della spesa in R&S delle imprese (+5,2% rispetto al 2020) che, tuttavia, non è sufficiente per tornare ai livelli del 2019. Si dovrà attendere il 2022 per avere valori di spesa pari o superiori al 2019. Sembrano contribuire alla crescita i fondi pubblici: nel 2021 gli stanziamenti in ricerca e sviluppo di amministrazioni centrali, regioni e province autonome sono saliti del 4,4%, arrivando a circa 11,5 miliardi di euro investiti. Più della metà delle risorse sono state infatti investite a sostegno della ricerca nel settore spazio, salute e delle tecnologie industriali. Il ruolo delle autorità locali varia tuttavia notevolmente tra le diverse regioni italiane come evidenziato nello studio recentemente pubblicato da Eurostat. In termini di intensità di spesa in R&S – il rapporto tra il PIL regionale e la spesa in R&S – le Regioni che investono di più sono Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Friuli Venezia Giulia. Rimangono invece carenti invece gli investimenti nelle regioni meridionali.