Gli inquinanti presenti nelle scorie di acciaieria sono tutti sotto i limiti di legge e la loro lieve tossicità è uguale a quella del materiale di cava. Lo ha stabilito una ricerca triennale dell’Università di Brescia, le cui conclusioni sono chiare: a parità di effetti è meglio utilizzare in edilizia le ceneri pesanti del settore metallurgico, evitando l’apertura di nuove cave e nuove discariche.
Le scorie d’acciaieria possono essere utilizzate come materiali da costruzione (sottofondi stradali, produzione di calcestruzzo, ecc) perché le concentrazioni di metalli pesanti sono tutte al di sotto dei limiti di legge. Ma c’è di più: i test di tossicità e genotossicità hanno evidenziato risultati sovrapponibili a quelli effettuati sul materiale di cava (sabbia e ghiaia). Questa la sintesi dello studio «Eco-health waste management» durato tre anni, che ha unito competenze di Medicina e Ingegneria e che è stato condotto dal laboratorio interdipartimentale dell’università di Brescia, B+LabNet «Ambiente, salute e sostenibilità», finanziato dal programma Health & Wealth dell’Università degli Studi di Brescia.
La ricerca, che ha studiato gli effetti delle scorie di cinque acciaierie bresciane e il materiale «naturale» prelevato in altrettante cave di sabbia e ghiaia, è stata svolta a Brescia ed ha visto il coinvolgimento dell’ingegner Sabrina Sorlini, del Dipartimento di Ingegneria Civile, Architetttura, Territorio, Ambiente e Matematica, dalle biologhe Giovanna Piovani (coordinatrice del progetto) del Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale (DMMT), Donatella Feretti del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche (DSMC), Carlotta Alias (B+LabNet), Ilaria Zerbini (DSMC), dagli ingegneri ambientali Laura Benassi (B+LabNet), Alessandro Abbà (DICATAM) e dal Prof. Umberto Gelatti (ordinario di Igiene del DSMC).
La sintesi di fondo della ricerca è chiara: «Nel confronto con i materiali naturali che si utilizzano normalmente risulta vincente la scoria di acciaieria, perché evita l’apertura di nuove cave e discariche e conseguentemente diminuiscono le emissioni di anidride carbonica» afferma la Prof.ssa Piovani.
Ora il legislatore ha uno strumento in più per poter aggiornare e migliorare una normativa che ormai ha 13 anni. Un approccio olistico, che tenga conto del contesto di utilizzo delle scorie e nello stesso tempo di test chiari e univoci, è il primo passo per risolvere il problema. Brescia ha indicato la via e continuerà a sviluppare gli studi di settore: «Servono però indicazioni operative attraverso i decreti end of waste , in linea con i criteri proposti a livello europeo», conclude la Prof.ssa Sorlini.
(Corriere della Sera, Brescia)