C’è anche una firma bresciana nello studio del gruppo di ricerca internazionale guidato da scienziati della prestigiosa Columbia University di New York con il quale è stato identificato «il gene del rigetto». Una vera e propria svolta nel mondo del trapianto di rene. Tra le firme dello studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, c’è infatti anche quella di Francesco Scolari, professore associato di Nefrologia all’Università degli Studi di Brescia.
Si tratta di una scoperta che aiuterà a migliorare la scelta dei donatori, ovvero la loro compatibilità con la persona in attesa di un organo, ma anche le terapie antirigetto riducendo in modo significativo il numero di trapianti con esito infausto. Gli scienziati hanno esaminato le caratteristiche genetiche di 2700 coppie di donatori e riceventi, tutte sottoposte a trapianto di rene. Un terzo delle coppie è stato seguito da Città della Salute e Università di Torino in collaborazione con il professor Scolari. Scandagliando le migliaia di caratteristiche genetiche, i ricercatori hanno identificato una nuova regione genomica sul cromosoma 2, vicina al gene Lims1, associata a rigetto del trapianto di rene. Dallo studio è emerso che il 60% dei soggetti presenta una variante genetica che permette di esprimere la proteina Lims1, presente in molti tessuti, compreso quello renale; al contrario, il 40% possiede varianti genetiche che non permettono di esprimerla. Perché il rigetto. In caso di trapianto di rene che proviene da donatore con la variante che esprime la proteina, i riceventi che geneticamente non la producono possono riconoscerla come estranea ed indirizzare contro di essa una risposta immunitaria di rigetto dell’intero trapianto. Si è infatti dimostrato che i riceventi negativi per la proteina, quando trapiantati con reni positivi, sviluppano anticorpi anti-Lims1. Nel trapianto di rene, le caratteristiche genetiche dei tessuti, specie quelle del sistema maggiore di istocompatibilità (chiamato Hla) svolgono il ruolo più importante nel determinare la comparsa di rigetto e quindi la sopravvivenza dell’organo a lungo termine. Tuttavia, anche nelle condizioni più favorevoli una certa quota di trapianti viene rigettata, suggerendo l’esistenza di incompatibilità legate a caratteristiche genetiche. Cosa succede. Due sono le implicazioni più importanti di questo studio. Le spiega lo stesso professor Scolari. «La prima riguarda la fase che precede il trapianto renale e cioè la scelta della coppia donatore-ricevente. In prospettiva, queste nuove conoscenze genetiche potrebbero essere impiegate per identificare le combinazioni più compatibili fra donatore e ricevente da avviare a trapianto di rene. Oltre alla tipizzazione tissutale tradizionale (Hla), potrebbe essere vantaggioso aggiungere nella fase pre-trapianto l’analisi di questa nuova caratteristica genetica; migliorare gli abbinamenti donatore/ricevente potrebbe tradursi in una minore incidenza di rigetto e quindi in un miglioramento dell’esito dei trapianti». Poi, il dopo-trapianto. «La seconda ricaduta, infatti, è relativa al dopo. I ricercatori hanno messo a punto specifiche analisi di laboratorio per identificare la presenza di anticorpi contro la proteina Lims1 nel corso del post-trapianto. Identificarli potrebbe permettere di monitorare nel tempo i trapianti; la loro comparsa dopo il trapianto e la loro identificazione precoce, prima dei segni clinici di rigetto, potrebbe permettere una più efficace modulazione della terapia anti-rigetto»