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L’esperienza italiana in Horizon 2020 e il futuro in Horizon Europe

“La partecipazione italiana a Horizon 2020 rappresenta ad oggi il 9,9% del totale dei beneficiari, e l’8,5% in termini di risorse finanziarie, per un valore di circa 700 milioni l’anno. Questo dato — che ci colloca in quinta posizione dopo Germania, Regno Unito, Francia e Spagna — riflette ovviamente il sotto-dimensionamento del nostro sistema di R&I rispetto agli altri grandi paesi europei; ma al tempo stesso segnala la necessità di moltiplicare gli sforzi per estendere le reti di collaborazione e acquisire risorse aggiuntive. Tanto più che l’incidenza dei finanziamenti europei rispetto a quelli nazionali è decisamente maggiore in Italia che negli altri paesi citati. La discrepanza tra i due dati — la percentuale delle risorse acquisite è sensibilmente inferiore a quella dei beneficiari — indica che le partecipazioni italiane nei progetti finanziati tendono a essere economicamente meno consistenti rispetto a quelle di molti altri paesi, e questo per vari motivi: i nostri progetti sono mediamente più piccoli, i nostri ricercatori meno pagati, e i nostri organismi di ricerca in genere più restii ad assumere ruoli di coordinamento dei progetti, che normalmente implicano oneri organizzativi importanti ma sono portatori di risorse più consistenti oltre che di maggiore prestigio scientifico.
Se raffrontiamo poi le percentuali dei proponenti e dei beneficiari italiani, constatiamo che i nostri ricercatori presentano molte proposte ma se ne vedono finanziare assai meno rispetto ai loro più forti concorrenti. Infatti il nostro tasso di successo, cioè la percentuale delle proposte finanziate sul totale di quelle presentate da soggetti italiani, è tra i più bassi di tutta l’UE. Questo significa che abbiamo un problema di qualità delle proposte, che
riflette alcuni limiti strutturali dei nostri apparati di ricerca, un parziale scostamento tra capacità nazionali e priorità europee, e probabilmente anche una certa difficoltà ad agganciare le cordate vincenti e a tradurre le competenze scientifiche e tecnologiche in progetti convincenti.
I settori nei quali la performance italiana risulta migliore sono lo spazio, le tecnologie industriali, la sicurezza, i trasporti e le scienze sociali e umane. In ciascuno di questi campi il ritorno italiano è superiore al 10% delle risorse disponibili. (…) Viceversa sono decisamente deludenti i risultati nella ricerca di frontiera dello European Research Council, dove la partecipazione dei nostri ricercatori in realtà è brillante ma genera scarse ricadute in ragione del fatto che, nella maggior parte dei casi, i beneficiari italiani utilizzano fuori dei confini nazionali i finanziamenti ottenuti, mentre sono rarissimi gli stranieri che vengono a fare ricerca in Italia. Al di sotto della media è anche l’accesso alle borse Marie Sklodowska Curie per la mobilità dei ricercatori, come pure la partecipazione alle attività di ricerca bio-medica. Questi tra l’altro sono tra i comparti con le dotazioni finanziarie più consistenti, a fronte di un significativo potenziale nazionale da valorizzare.

(…) In attesa che investimenti sufficienti e strategie adeguate consentano all’Italia di competere ad armi pari con gli altri grandi paesi europei, si può fin d’ora fare di più per sfruttare al meglio le opportunità di collaborazione e di finanziamento che prospetta Horizon Europe: massimizzare l’allineamento tra competenze nazionali e contenuti dei programmi di lavoro; diffondere
l’informazione in maniera ampia, capillare e specifica, prestando attenzione in particolar modo agli elementi di novità; allargare la platea dei potenziali partecipanti coinvolgendo nuovi soggetti; intervenire prioritariamente in quelle zone e in quei settori che presentano un elevato scarto tra potenziale e livello di partecipazione; fornire ai proponenti formazione e assistenza mirate; facilitare l’accesso degli operatori italiani ai consorzi trans-nazionali in
formazione; sfruttare le possibili sinergie con altri programmi e fondi europei, a cominciare dai fondi strutturali e InvestEU.
 

(Alessandro Damiani, Presidente APRE)

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